La settimana scorsa il mio socio
ha ripercorso ciò che abbiamo imparato (davvero) in 10 anni di Digital Update, nell’accezione ampia di chiedersi a quali bisogni poteva dare una risposta il nostro progetto, come cercare di anticipare i cambiamenti in atto, come accorgersi in tempo della necessità di cambiare rotta.Molto più prosaicamente, io oggi farò il punto su come il canale email sia stato una risorsa fondamentale per Digital Update; non perché ci lavorassi io, che nel 2012 ero ancora una generalista più attiva su contenuti e social media marketing che sull’email marketing; anzi, forse posso dire che è stato grazie a tutta la palestra di Mailchimp fatta per promuovere e far funzionare Digital Update che alla fine sono diventata, a tutti gli effetti, una specialista.
P.O.S.T.
People, Objectives, Strategy, Tools: uno dei mantra dei nostri corsi dei primi anni, quelli in cui io e Gianluca in due giorni coprivamo tutto il panorama dei media digitali.
Chi erano le persone a cui si rivolgevano i nostri corsi? Freelance che si stavano auto-formando sui nuovi media, imprenditori che avevano capito prima di altri quanto il digitale sarebbe diventato imprescindibile, persone della comunicazione che vedevano il loro lavoro cambiare forma.
Per noi, l’obiettivo era definire il ruolo di Digital Update come hub di diffusione di una cultura digitale fuffa-free, lontana dagli hype e molto vicina alla pratica quotidiana.
In quel contesto, fare content curation in modo ragionato e attento aveva un valore percepito molto alto; scegliemmo quindi (strategia) di creare una rassegna settimanale di link e risorse utili, da pubblicare sul blog e distribuire via newsletter. Qui ho imparato l’importanza di definire un format, sia per organizzare meglio la produzione sia per dare un’identità riconoscibile a ogni progetto di newsletter: nel nostro caso, la ricetta ideale era un mix di link in italiano e in inglese (questi ultimi perché in genere erano quelli più aggiornati e interessanti, i primi per non aggravare troppo la fatica cognitiva di chi ci leggeva nel weekend), di cose da leggere e tool da sperimentare.
Mailchimp ci fornì lo strumento ideale: bastò poco per impostare una newsletter Feed to RSS che ogni sabato, per tre anni, ha distribuito la nostra rassegna, passando da 10 a circa 2500 persone iscritte. Il template all’interno del quale Mailchimp riversava il testo del post aveva una parte finale con gli avvisi dei corsi in arrivo, che io controllavo e aggiornavo secondo necessità; il tasso di apertura medio di quegli anni era uno stellare 46%, non ancora inquinato dalle false aperture di Apple MPP.
Nessun piano continua a funzionare senza evolversi
Nel frattempo, il progetto stava crescendo: al corso generalista se ne affiancavano altri sempre più verticali, che coinvolgevano nuovi e nuove docenti. Far scrivere anche loro era necessario non tanto e non solo per promuoverne i rispettivi corsi, ma per arricchire di voci e competenze validissime sia blog che newsletter. A quel punto, valeva la pena di abbandonare progressivamente la content curation in favore di approfondimenti tematici autoriali, spesso longform; il Feed to RSS era diventato stretto, perciò la newsletter del sabato prese una nuova forma, quella dell’anticipazione del post della settimana (“continua a leggere sul blog”) seguita dagli avvisi su programmi, promozioni, webinar extra.
Tassi di apertura e clic sempre molto alti, e una lista che è cresciuta negli anni nonostante le drastiche azioni di list-cleaning che ogni tanto la sfoltivano di chi non ci leggeva più (e non aveva mai comprato un corso): la newsletter è stata in tutto questo tempo uno strumento fondamentale per mantenere il posizionamento di Digital Update.
Ora che abbiamo smesso di vendere formazione ai singoli - ma non di voler essere un hub di riflessione e buone pratiche sul digitale - il format della newsletter si adatta benissimo a uno strumento come Substack. Come dico sempre: mai innamorarsi degli strumenti, perché ciascuno strumento ha il suo ambito di applicazione ideale e bisogna saper capire quando è il caso di cambiare.
Email per il customer care
Fin dai primi corsi, Mailchimp ci ha consentito di gestire le comunicazioni prima e dopo le aule e, soprattutto, ci è servito per costruire un rudimentale CRM che ci poteva dire chi aveva frequentato uno o più corsi; non che il collegamento WooCommerce/Mailchimp fosse esente da problemi (chi usava indirizzi email diversi per ricevere la newsletter e iscriversi ai corsi, chi finiva dentro a Mailchimp in stato transactional only, chi acquistava per conto di altre persone), ma giocando con automazioni, gruppi e tag si riusciva comunque a mettere in ordine le cose.
Abbiamo confezionato email pre-corso curatissime, con tutte le informazioni necessarie per raggiungere l’aula, prepararsi alla lezione, conoscere in anticipo la password del wifi e il menu della pausa pranzo; e messaggi post-corso caldi e premurosi, con le slide, le foto, le istruzioni per tenersi in contatto, il memo sulla newsletter del sabato che cambiava a seconda che uno la ricevesse già o no.
Sapere chi aveva già frequentato un corso era importante anche per escluderli dagli invii delle promo legate alle successive edizioni di quel corso: per aumentare la rilevanza bisogna innanzitutto ridurre l’irrilevanza, e un messaggio in Inbox che promuove qualcosa che hai già acquistato è irrilevante e fastidioso.
Automation, automation, automation
Sperimentare su ogni tipo di automazione, prima forzando i limiti dei Classic Workflow, poi partecipando alle beta di nuove feature e alla discussione coi team di prodotto, e infine facendo un debug impietoso dei nuovi Customer Journey, è stata forse la mia palestra più stimolante, quella che mi ha fatta diventare la persona a cui chiedere quando c’è un problema sulle automation Mailchimp.
Welcome series differenziate, follow-up di post-acquisto, carrello abbandonato, messaggi di congratulazioni dopo aver terminato un corso online, auguri di compleanno, distribuzione di pacchetti di contenuti tematici proposti all’interno dei post del blog, istruzioni post-registrazione per seguire i webinar, risposte automatiche a chi chiedeva informazioni sulla Scuola Digital Update, con tanto di recall se dopo qualche giorno non era ancora stato fissato un appuntamento: penso davvero che tutto quello che si poteva fare con Mailchimp noi l’abbiamo fatto.
Lavorare con l’essenziale è una gran palestra: quando ho iniziato a usare ESP con sistemi di automation più raffinati e flessibili, come Klavyio e Magnews, ne ho festeggiato la ricchezza e mi sono scatenata a inventare flussi articolati finalmente possibili. Ti fa anche capire che non sempre è necessario avere strumenti iperraffinati, e bisogna sempre tenere in equilibrio vantaggi e costi di gestione.
Quasi 3 milioni di email in 10 anni
Mi sono scaricata da Mailchimp il CSV con tutti i dati delle campagne email inviate dal 2012 a oggi (fallo in fretta se usi Mailchimp, perché le nuove funzionalità di reportistica in arrivo avranno una finestra temporale massima di 365 giorni), e ho sommato tutti i messaggi spediti in questi anni: sono circa 2.800.000 email.
Le stime dell’emissione di CO2 legata alla produzione e invio di un messaggio di posta elettronica vanno da 5 grammi per un messaggio di solo testo a 50 per un messaggio con allegati pesanti; noi di allegati non ne abbiamo mai mandati, ma considerando la struttura della newsletter tipica probabilmente stiamo su un valore intermedio, diciamo 20, 25 grammi a messaggio. Abbiamo perciò prodotto qualcosa come 70 tonnellate di anidride carbonica; considerando i costi collettivi delle emissioni, l’unica cosa che allevia il mio senso di colpa è che ho fatto spesso list-cleaning, ho segmentato con attenzione per non scrivere a tutti, e ho controllato ossessivamente l’HTML per ripulirlo dal codice non necessario e alleggerire il più possibile i messaggi.
Scrivere meno, scrivere meglio, agire di più, e che ne valga la pena.